In un periodo storico alquanto critico per l’Italia trovare un posto di lavoro fisso, stabile ma soprattutto redditizio sembra quasi utopia. Milioni di giovani, di padri di famiglia e anche uomini un po' avanti con gli anni risultano essere disoccupati e così facendo prendono sempre più campo le prestazioni lavorative occasionali. 

Menu di navigazione dell'articolo

Queste ultime possono evidenziare alcuni aspetti positivi, come ad esempio la possibilità di variare il tipo di attività svolte e non effettuare lo stesso tipo di lavoro per anni oppure avere maggiore flessibilità di orari, da poter sfruttare per eventuali necessità personali o familiari. Tuttavia, tali aspetti positivi non sempre sono ben accetti e riescono a compensare quelli negativi, in particolar modo l'assenza di stabilità lavorativa e diritti non sempre riconosciuti. Fatto sta che sono sempre più numerose questo genere di attività.

Ricordiamo, comunque, che per prestazione occasionale si intende un lavoro, commissionato da un soggetto (committente), limitato sia nel periodo temporale che nel compenso per colui che lo deve svolgere. Si definisce "occasionale" in quanto non vi è nessun rapporto di subordinazione (come quello tradizionale tra datore di lavoro e dipendente) e neanche durata (indeterminata) nel tempo.

Chiunque svolga prestazioni lavorative senza avere un contratto (e quindi busta paga) e senza avere Partita Iva viene pagato mediante ritenuta d’acconto. Molto spesso ne sentiamo parlare ma sappiamo nello specifico? In genere con il suddetto termine si intende un pagamento che un datore di lavoro effettua nei confronti di un dipendente e rappresenta, di fatto, un anticipo sulle imposte del collaboratore. 
In altri termini il lavoratore riceve una somma di denaro leggermente inferiore rispetto a quella pattuita di base in modo tale da permettere al datore di lavoro di versare un acconto sull’Irpef che sistematicamente deve essere versata nelle casse dello Stato.  

In pratica, quindi, la ritenuta d'acconto non è altro che una trattenuta che un soggetto (cioè il datore di lavoro) effettua sul compenso fornito ad un altra persona (collaboratore o fornitore che sia) e che rappresenta una sorta di anticipo (un acconto appunto) sulle imposte che questi ultimi dovranno pagare. Tale somma, anziché essere versata al collaboratore, è pagata, come accennato, allo Stato come acconto Irpef sul reddito del lavoratore.

Naturalmente, tale ritenuta viene applicata in modalità e percentuali diverse, in base alle varie situazioni giuridiche ed economiche in cui ci si trova. Si può andare, ad esempio, dal 4% sui compensi per servizi resi a condomini da parte di persone fisiche o società di persone fino al 30%, come poi vedremo, sui redditi di lavoro autonomo per soggetti non residenti nel nostro Paese o risultanti da opere di ingegno ed altro.

Stabilito e spiegato cosa siano le ritenute d’acconto doveroso specificare quali siano le prestazioni lavorative riconosciute: 

  • Prestazioni a terzi o nel loro interesse; 
  • Prestazioni autonome oppure occasionali; 
  • Partecipazione agli utili; 
  • Eventuali assunzioni di obblighi; 
  • Diritti per opere figlie di ingegno cedute ad altre persone fisiche che hanno di fatto acquistato l’idea; 
  • Utili per promotori e soci fondatori di società per azioni. 

Detto questo, nella base imponibile della ritenuta, vi rientrano ad esempio compensi professionali, eventuali rimborsi per spese di viaggio, vitto o alloggio di un collaboratore e comunque in generale tutte quelle spese anticipate e documentate da quest'ultimo e rimborsate poi dal datore di lavoro. Non vi rientrano, invece, altre voci, come possono essere i contributi previdenziali che risultano a carico del soggetto che li deve corrispondere e che sono poi previsti dalla normativa italiana.

Come funziona il calcolo della ritenuta d’acconto 

Immagine d'esempio sull'articolo che tratta il Calcolo della ritenuta d’acconto

Quando un qualsiasi lavoratore viene chiamato per offrire prestazioni di natura occasionale (quindi come ribadito in precedenza senza Partita Iva e senza contratto) vede decurtato parte del compenso pattuito in precedenza. In genere le ritenute d’acconto hanno un'aliquota fissa al 20% quindi entrando nel dettaglio e facendo un esempio i conti da fare sono i seguenti: 

  • Se in un ipotetico contratto di lavoro è stato fissato l’ammontare del compenso a 1000 euro bisogna detrarre il 20%; 
  • Il 20% di 1000 euro, ovviamente, è 200 euro; 
  • Il totale da pagare al collaboratore è 800 euro. 

Gli altri 200 euro, quelli tolti dallo stipendio, andranno versati allo Stato in qualità di ritenuta d’acconto sull’Irpef. 

Esistono dei casi, però, dove il calcolo dell’aliquota è differente. Infatti, oltre al più comune 20%, esiste anche quella al 30%. Essa viene applicata su compensi di qualsiasi natura se sono corrisposti a persone non residenti (quindi sia le opere di ingegno che non). 

Una regolare ricevuta d’acconto sull’Irpef deve riportare tutti i seguenti dati: 

  • Data e Numero della ricevuta; 
  • Dati anagrafici del collaboratore quindi nome, cognome, luogo di nascita, data di nascita, residenza e Codice Fiscale
  • Dati del committente che sono identici a quelli precedenti ma con l’aggiunta del numero di Partita Iva; 
  • Importo lordo della prestazione lavorativa offerta; 
  • Importo della ritenuta d’acconto; 
  • Importo netto da pagare (quindi la differenza che intercorre tra il lordo e la ritenuta d’acconto); 
  • Descrizione della prestazione lavorativa effettuata; 
  • Firma del collaboratore e del committente.  

Dichiarazione dei redditi e convenienza delle ritenute d’acconto 

Lavorare su ritenuta d’acconto non è sicuramente sinonimo di stabilità. In genere chi decide di lavorare sotto questa ‘giurisdizione’ effettua prestazioni lavorative non continuative nel tempo o comunque non come lavoro principale. 

Le stesse ritenute d’acconto vengono conteggiate al fine della dichiarazione dei redditi solo ed esclusivamente se la soglia di reddito è pari o superiore ai 5000€ mensili. Vi è invece un esonero totale se la quota annuale di guadagno si ferma a 4800€.  

Quindi, riassumendo, lavorare su ritenuta d’acconto è una potenziale arma a doppio taglio. Può essere comoda perché è figlia di prestazioni occasionali ma allo stesso tempo non danno sicurezza nel tempo. Altro problema potrebbe essere la quantità di prestazioni occasionali offerte: nel caso in cui queste dovessero divenire tante ma soprattutto molto redditizie diverrebbe molto più conveniente aprire una Partita Iva e iniziare a lavorare in questo modo. 

FAQ

Cos'è la ritenuta d'acconto?

La ritenuta d'acconto è un'anticipazione di imposta che il committente trattiene al momento del pagamento di una prestazione e versa direttamente all'erario. È prevista per molte categorie di reddito, tra cui quelle derivanti da lavoro autonomo e da prestazioni occasionali. Serve a garantire che una parte delle imposte dovute al termine dell'anno fiscale venga anticipata al momento del pagamento.

Come si calcola la ritenuta d'acconto?

Il calcolo della ritenuta d'acconto dipende dal tipo di reddito e dalla normativa fiscale in vigore. Ad esempio, per le prestazioni di servizi svolte da lavoratori autonomi, la ritenuta d'acconto è tipicamente del 20% dell'importo lordo fatturato. Tuttavia, ci sono diverse eccezioni e particolari situazioni in cui la percentuale può variare. Pertanto, è sempre consigliabile consultare le disposizioni dell'Agenzia delle Entrate o avvalersi della consulenza di un professionista per determinare la percentuale corretta.

Quando e come deve essere versata la ritenuta d'acconto all'erario?

Chi effettua la ritenuta (il committente) ha l'obbligo di versare le somme trattenute all'Agenzia delle Entrate entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui la ritenuta è stata operata. Questo versamento avviene tramite modello F24, indicando i dati relativi al beneficiario della prestazione e la tipologia di reddito per cui è stata applicata la ritenuta.

Cosa succede se sbaglio a calcolare la ritenuta d'acconto?

Se si commette un errore nel calcolo della ritenuta d'acconto, sia in eccesso che in difetto, è necessario regolarizzare la situazione. In caso di trattenuta eccessiva, il beneficiario potrà recuperare l'importo in eccesso con la dichiarazione dei redditi. Se, invece, la ritenuta è stata calcolata in difetto, il beneficiario dovrà versare le imposte dovute, eventualmente con sanzioni e interessi. In ogni caso, è fondamentale correggere eventuali errori per evitare problemi con l'Agenzia delle Entrate.

Autore: Laura Perconti

Immagine di Laura Perconti

Laureata in lingue nella società dell’informazione presso l'Università di Roma Tor Vergata, Laura Perconti segue successivamente un Corso in Gestione di Impresa presso l'Università Mercatorum e un Master di I livello in economia e gestione della comunicazione e dei nuovi media presso l'Università di Roma Tor Vergata.